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In the mood for Japan – 1
- Novembre 7, 2013
- Pubblicato da: Gestore Roma
- Categoria: Blog Racconti di viaggio
di Federica Lombardo
“In the mood for Japan”. Roma-Istanbul. Istanbul-Osaka. In totale 18 ore di viaggio per arrivare in Giappone. L’addetto al controllo passaporti mi guarda e dice: “Signorina, certo che andiamo proprio lontano! Sorrido e mi accorgo di avere un po’ di paura, ma so di potere contare sulla mia amica Ayuko, fidata compagna di viaggio, da cui sarò ospite a Kobe.
Prime impressioni
La prima cosa che colpisce al mio arrivo all’aeroporto di Osaka la perfetta funzionalità di tutti i servizi. Navette pulitissime e confortevoli, ritiro bagagli in venti minuti, servizi igienici veramente igienici, punti di ristoro accoglienti con personale gentilissimo e, all’uscita, trasporti per le diverse destinazioni ben segnalati con un sistema di biglietteria automatica pratico e veloce. Qui sembra che ogni essere umano sia al centro di un piccolo mondo di attenzioni e, perché ciò accada (e accade), bisogna che tutto funzioni alla perfezione. Ti senti sicuro, hai la sensazione che nulla di brutto possa accaderti e che, se per caso o sventura dovesse succederti qualche imprevisto, ci sarà sempre qualcuno, solerte e cortese, pronto ad aiutarti. Ah sì, questo mi piace! Mi piace essere accolta in un posto, dove assieme al benvenuto ti restituiscono tutta la dignità di essere umano. Mi verrebbe da abbracciarli tutti questi uomini e queste donne che sorridono e non si arrabbiano mai, che fanno il loro lavoro con grande serietà e impegno. Comunque sono appena arrivata e, per fortuna , non prendo iniziative e mi limito a spandere sorrisi a destra e manca dicendo in continuazione arigatò.
Mezzi di trasporto in Giappone
La puntualità dei treni non è una leggenda: se per uno spostamento si prevede 1h e 47 di viaggio, sarà 1h e 47 non un minuto in più, non uno in meno. Sui tabelloni non è previsto neanche lo spazio per segnalare un eventuale ritardo. Magnifico! Dimentichi espressioni del tipo “Se non passa quello delle 8, c’è quello delle 8:23…sperando che sia in orario”.
Coincidenze
Stando così le cose, le coincidenze coincidono: cinque-dieci minuti sono sufficienti per trasbordare da un binario all’altro e accomodarsi sul treno che ti porterà a destinazione. Anche la rete metropolitana è efficientissima: sul pavimento dei binari ci sono dei punti di attesa, in esatta corrispondenza alle porte d’entrata del vagone. Ci si mette in ordinata fila su questi punti di attesa e, all’arrivo del treno, dopo aver aspettato che tutti siano scesi, si entra e si prende posto. Muraglie umane che ti impediscono il passaggio? Gomiti conficcati nelle costole? Ascelle puzzolenti sventolate ai quattro venti? Piedi calpestati? Per carità! Qualche volta, nelle ore di punta, c’è un omino in divisa con dei guanti bianchi che, sfiorandoti il braccio o la spalla con gesti garbati, direziona i movimenti e invita i passeggeri ad affrettarsi. Insomma un butta-dentro.
Pink Vagon
Esistono anche dei punti d’attesa, quindi dei vagoni , riservati solo alle donne. Una cosa che ho trovato alquanto bizzarra, ma che, ovviamente, ha una spiegazione: la piaga dei palpeggiatori. Naturalmente i maniaci esistono in tutto il mondo, ma in Giappone, è quasi impossibile che una donna si ribelli pubblicamente a una molestia ed è quindi costretta a subire in silenzio. A detta delle mie nippo-amiche, la questione era diventata un problema di rilevanza sociale, che è stato in parte arginato con questa ingegnosa soluzione del pink-vagon.
In pullman verso Tokyo
Da Kobe a Tokyo ho viaggiato in pullman (il velocissimo Shinkasen costa uno sproposito): una favola. Sedili comodi, coperte pulite, radio e wi fi per collegarsi alla rete. Durante il viaggio, la mia imprevista emergenza toilette, che pensavo avrebbe scatenato il panico, è stata gestita con prontezza ed eleganza: una rapida sosta , la scorta fino ai servizi , sorrisi, inchini e arigatò. Nessuna conseguenza sulla tabella di marcia. Le automobili ( la guida è a destra) scorrono placide su strade sicure; numerose biciclette, guidate da studenti in divisa o dignitosissime signore anziane, sfrecciano indisturbate su corsie preferenziali. Anche quando ti muovi a piedi nei labirinti sotterranei delle città trovi indicazioni dei metri mancanti per raggiungere questa o quella uscita.
Nessun ostacolo
La parola ostacolo qui si abbina immediatamente al concetto di rimozione e superamento. E noi , che invece siamo abituati ad aggirare, possiamo essere anche colti da una sorta di horror vacui da assenza di ostacolo e di imprevisto. Spesso, quando mi trovavo in fila per prendere la metropolitana con l’omino butta-dentro alle costole , mi è capitato di pensare: Se ti venisse il dubbio di avere lasciato il gas acceso? Se volessi tornare indietro anche solo per aver cambiato idea? E se, appena entrato, volessi subito uscire per abbracciare qualcuno che ti saluta dal binario? Le porte si chiudono alle mie spalle. Tredici minuti e arriverò a destinazione.
Baci e abbracci e altre sconvenienze
“Se riesci a trattenerti, non baciarla quando la incontriamo!” suggerisce Ayuko poco prima dell’appuntamento con sua madre. Le posso stringere la mano? Domando no, no. Meglio di no! Un sorriso e un piccolo inchino possono bastare conclude la mia amica. Non volendo creare imbarazzo, mi attengo a quanto suggerito e mi inchino sfoggiando un sorriso radioso al cospetto di Itsuyo San. Formalità: scopro così che l’inchino è l’unico modo conveniente di salutarsi e che maggiore è l’importanza della persona che hai davanti e più ti devi abbassare. Possibilmente con lo sguardo rivolto verso i piedi.
Distanze
Quello che non può passare inosservato qui è che la distanza fisica tra un essere umano e l’altro è enorme. In Giappone non ci si tocca. Pacche sulle spalle, strette di mano, buffetti e amenità di questo genere non esistono. L’abbraccio sembra estinto e i baci suppongo ( e spero) siano riservati a privatissime e intime evoluzioni. Anche osservando le persone sedute sui mezzi, mi sono accorta che sono tutti attentissimi a non sfiorarsi. Non solo i passeggeri vigili, ma pure i dormienti. Usano infatti fare lunghi pisolini durante i trasbordi. Vedi teste che ciondolano in avanti, corpi completamenti avvolti dalle spire del sonno, braccia abbandonate che scivolano sui fianchi, ma esattamente un attimo prima del contatto con il vicino, non so come facciano, questi dormienti si risvegliano e si mettono di nuovo composti. La mia gamba a cavalcioni con il piede pendulo a rischio d’urto, ovviamente, è stata subito autocensurata. Difficilissimo , anche se non impossibile, parlare con persone sconosciute magari sedute accanto a te per una o due ore di viaggio. E sconveniente.
Pubbliche effusioni
Superfluo dirlo, ma di coppie che si scambiano effusioni in pubblico o che camminano mano nella mano, neanche l’ombra. Mentre mi guardo intorno, alla ricerca di un segno che sovverta le evidenze, snocciolo in silenzio un noiosissimo monologo interiore sull’espressione dell’emotività come segno distintivo della cultura di un popolo e bla, bla, bla, ma nella mia testa scorrono solo di immagini di baci appassionati per le strade di Parigi, Barcellona, Vienna, Praga, Lisbona. Me ne devo fare una ragione: le cose qui stanno così. In fondo, non è morto mai nessuno per un bacio non dato, tutt’al più può essere vero il contrario.
Il viaggio di Federica “In the mood for Japan” non finisce qui, continuerà tra due giovedì su questo blog…
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