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Hasta la vida, siempre
- Dicembre 12, 2013
- Pubblicato da: Gestore Roma
- Categoria: Blog Racconti di viaggio
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di Annalisa Minniti
Viaggio all’Habana
Era la terza volta che atterravo all’Habana e, per la terza volta, mi scontravo col muro di aria umida e pesante, denso, all’uscita dell’aeroporto. L’impatto era sempre lo stesso: fiato corto, accelerazione del battito, movimenti rallentati. E un’impareggiabile e totalizzante sensazione di euforia e gratitudine, quella di chi si sente abbracciato dall’Indulgenza.
Qui tutto sembra possibile, tutto si perdona. Nessuna rigidità, nessuna formalità, nessuna responsabilità.
Verso la città
Diversi sorrisi calamitano la mia attenzione ed è difficile scegliere quello che mi condurrà in città. Ma la legge del più forte vince qui come da nessun’altra parte e il mio Lucignolo carica sul taxi il bagaglio senza troppi convenevoli, liquidando gli altri aspiranti. Le loro rimostranze ci inseguono per qualche metro ma sono giocose in quell’accento che smussa gli angoli al castigliano, rendendolo approssimativo e teneramente infantile. Un accento rotondo e sensuale al quale tutto è permesso, anche l’insulto.
Incontro con il tassista
Il tassista è un uomo alfa, apparentemente sui 30, quindi ne avrà al massimo una ventina. Trighegno. Di quel colore, cioè, che sta tra il mulatto chiaro e il bianco. Un olivastro che suggerisce origini nere. Nella palette di colori cubani, una delle tante sfumature. Probabilmente avrà una sorella bionda con occhi chiari e un fratello nero, o Cino, più di un padre in famiglia e figli suoi con donne diverse e di diversi colori. Qui nemmeno la legge di Mendel sembra rispettare le regole.
L’autobus da evitare
Ed è di questo che lui mi parla per tutto il tragitto, facendosi largo a forza tra le note altissime di una salsa che strilla gracchiante dalla sua autoradio accroccata. Le regole? Naaa Mamy, estamos en Cuba, no reglas! Per tu, mi amor, mi cielo, mi luna, mi Ochun, non salire sul Camello, riferendosi ad un autobus di fattura russa, frequentato rigorosamente da locali, pieno all’inverosimile e dove pare si concentrino i peggiori malintenzionati.
La tradizione vuole che su quest’autobus dalle due protuberanze sul tetto, si siano consumate molestie e liti al coltello, anzi al machete. Inutile dire che ci sono salita e che, nel tempo di tre fermate, l’unica violenza che ho subito è stata quella di corpi ammassati maleodoranti.
Le regole da rispettare
Eppure, per i cubani di regole ce ne sono tante da rispettare. Troppe.
Alcune umanamente inaccettabili, molte burocratiche, qualcuna facilmente aggirabile. Come quella per tentare di limitare il turismo sessuale che vieta a qualsiasi residente l’ingresso negli hotel. Eppure al National, l’imponente e spettacolare Hotel a 5 stelle dell’Habana in stile coloniale, non si trova un uomo di mezza età che non sia accompagnato da una (o più d’una) vellutata e giovanissima bellezza locale. Mentre il taxi andava e Nestor mi raccontava tutto della sua vita, con la superficialità e il candore apparente di un bambino e la dovuta seduzione machista, sentivo chiaramente e, una volta per tutte, la doppiezza di questa terra: manifesti che urlano alla dignità nazionale e ai valori dell’indipendenza e gente seduta per strada con una bottiglia di rum in mano, mentre gruppetti di ragazzi vestiti all’americana corteggiano due turiste e i loro smartphones. Allegria e dolore, incertezza e coraggio, cultura e rassegnazione, amore e morte.
La bellezza disarmante della vecchia Habana
Superate strade assolate e roventi, dove le palme ballano mosse dal vento, arriviamo in città. Uno struggente Malecn battuto dalle onde dell’oceano, divide la città dal resto del mondo: un’infilata di palazzi coloniali color pastello si staglia davanti al mare restituendo ad un semplice paesaggio caraibico tutto lo spessore della storia e la struggente bellezza della decadenza.
Svoltiamo a sinistra e arriviamo a Paseo Josè Martì. Lo spartiacque tra un’Habana e l’altra. Quella vieja, e il centro Habana. Contrariamente al previsto, è la parte vecchia la più frequentata e accogliente. Di una bellezza disarmante al gusto di Mojito, incornicia localetti, paladar (pseudo ristoranti a conduzione familare, ottima cucina casereccia), antiche e lussureggianti case museo, la Catedral e uno degli Hotel più affascinanti ma meno conosciuti della città: l’Ambus Mundos, residenza di Hemingway e perla di un magnifico e sobrio decò.
Il cuore dell’Habana
Ma è Centro Habana che colpisce dritto al cuore. Ruvida, autentica, puzzolente, chiassosa e rozza, che ti ubriaca come un Habana Club aniejo blanco puro e secco. Un misto di vita vera e di immaginifiche proiezioni.
Qui si incontrano suggestioni di ogni tipo: dai Quartieri spagnoli napoletani a les Miserables, passando per colori e magie circensi. E qui che ho visto un intero quartiere mobilitarsi con 50 gradi all’ombra per raccogliere acqua da un camion cisterna dopo i consueti giorni di secca. Bambini, vecchi, donne, puttane e spacciatori in una catena di montaggio allegra e coesa, fatta di bacinelle e secchi d’acqua, di corde e urla, di sudore e danza dove c’è spazio per tutti, persino per una privilegiata come me.
Incontro con la scolaresca
Alla vista di una scolaresca in divisa, neanche a dirlo di colore avana, chiedo a Nestor di fermarsi. Sono presa dall’irrefrenabile voglia di fotografare quel che resta della Revolution: la quotidianità.
Primo piano di una bambina di colore, sette anni, treccine fermate da innumerevoli elastici colorati, sorridente e maliziosa. Per catturare la sua postura da mariposa, sono costretta ad un piano americano. Anche se chiamarlo così mi sembra quasi una bestemmia da queste parti. Allargo l’inquadratura e dietro di lei, lo scheletro di una scuola che tradisce i fasti americani degli anni 50. E un patio. Un incantevole e assolato patio. Di quelli che costellano l’urbanistica di Cuba. Emblema di un’antica e semplice filosofia: la felicità. Ma questa immagine la consegno ad uno scatto privato, del tutto mentale.
Come in un fumetto
Respiro profondamente prima di risalire in macchina: salsedine, spazzatura, rum e frutta tropicale, e il fortissimo odore di una popular, la sigaretta più forte che abbia mai fumato. E che Nestor sta consumando appoggiato alla sua Cadillac Eldorado verde acqua che, oltre a diverse scatole di Cohiba da vendere a nero agli yuma, nasconde un motore Fiat vanni ’90. Mi sento improvvisamente dentro ad un cartone animato: io, la turista con macchina fotografica, colori forti e piatti, persone semplificate in personaggi, coco taxi e ogni cosa icona di se stessa. I vecchi giocano a domino, i bambini a baseball, gli uomini sono la stilizzazione del seduttore latino e le donne abili sirene incantatrici. Le madri bigodini e mattarello alla mano, rincorrono mariti infedeli e crescono figli monelli. In un attimo mi sembra che anche sentimenti qui disconoscano le sfumature e facciano riferimento alla semplificazione da scuola materna: faccia triste, faccia allegra, faccia arrabbiata, faccia spaventata. E i bisogni percepiti, solo quelli primari.
La NY latino-americana
Rimonto in macchina cercando di rientrare da questo straniamento fino a destinazione: Vedado-calle 23 entre N y O, vicinissima al modesto e frequentatissimo Bar Sofia e a La Zorra y el Cuervo, imperdibile locale jazz dove si possono ascoltare talenti di portata internazionale e dove si percepisce chiaramente che l’Avana è il lato oscuro di una grande metropoli. Il lato consumato, allegro e variopinto. Il calco di NY o la sua controfigura, ma in versione decadente latino-americana.
Hasta la vida, siempre
Scendo, e Nestor mi saluta col calore e la confidenza del mio migliore amico e fissa l’orario ipotetico di un appuntamento che disattenderò, arrivando all’incontro con un minimo di due/tre ore di ritardo. Forse il giorno successivo. Ojal!
Qui è inutile cercare di capire quel che succederà, dove sta il torto e dove la ragione, chi è la vittima, chi il carnefice o per chi suona la campana. Qui una sola cosa è certa: che l’obiettivo sia il denaro o l’acqua, la salute o l’amore, superare la giornata o esprimere un’opinione, bisogna riuscire a spegnere il cervello e ragionare d’istinto.
Perché solo così si può fare ogni giorno la rivoluzione. Hasta la vida, siempre.
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