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Una visita a Pietragalla
- Ottobre 10, 2014
- Pubblicato da: Gestore Roma
- Categoria: Blog Racconti di viaggio
di Angela Malaspina
A Pietragalla alla ricerca dei Palmenti
Partimmo alla volta di Pietragalla, tre donne e una ragazza, alla ricerca dei Palmenti, senza sapere se servissero per fare l’olio o il vino. Come ogni volta che ci accingevamo a esplorare la Basilicata ci sembrava di iniziare una avventura e non una mera visita turistica. Arrivate a Pietragalla chiedemmo informazioni in una bottega, dalla quale uscì un giovane che si mise a parlare con un altro giovane. In breve si attivarono per fare arrivare una esponente della proloco che doveva portarci degli opuscoli sui palmenti.
In attesa della guida
Non arrivando nessuno decidemmo di avviarci su per il centro storico, arrampicandoci lungo una scala sormontata da un arco, non senza aver detto ai due giovani dove potevamo essere raggiunte. Ci raggiunse invece, solo la telefonata di un signore il cui numero avevamo trovato su internet alla voce castello di Monteserico. Ci aveva fissato un appuntamento alle 17 davanti a un bar di Genzano, con la guida che ci avrebbe condotti al castello, anzi noi l’avremmo condotta con la nostra macchina.
Alla scoperta della città
Avevamo tutto il tempo di visitare Pietragalla. Ci inoltrammo su per il paese, ma dopo la scala ci dividemmo. Una si riposò per il gran caldo (dopotutto era l’una di un venerdì di fine agosto) e noi altre raggiungemmo una chiesa sul cui sagrato trovammo ristoro. Mi affacciai in una casa che dava sulla piazza, come una specie di garage. Trovai 2 anziane intente a preparare il pranzo che nulla seppero dire sulle chiavi della chiesa.
Ancora non è ora di mangiare!
Allora errammo un po’ fino a una invitante locanda, dalla quale uscì una donna che in una lingua strana, forse dialetto, forse albanese o forse dialetto albanese. Ci disse che si poteva mangiare, ma di chiedere al signor Pasquale. Ci introducemmo nel locale ombroso e ci venne subito incontro un tipetto vivace con i capelli bianchi e una salvietta tra le mani dicendo che ci avrebbe fatto mangiare, quasi fosse una concessione, ma di non presentarci prima dell’una e mezzo.
La gente in piazza
Recuperammo la nostra amica e stazionammo sui gradini della chiesa, unico posto all’ombra tra i vicoli assolati. Sottoposte alla costante sorveglianza dalle anziane che dovevano aver già finito di pranzare e monitoravano la situazione dalla loro casa-garage. Dalla postazione avevamo una buona visuale della piazza dalla quale continuavano a transitare vari soggetti. Si appalesò a un certo punto una strana combriccola tra cui spiccava un’elegante e attempata signora che procedeva traballando appoggiata a una sorta di bastone a tre piedi e altre persone di varie età, ma ugualmente eleganti.
Finalmente alla locanda per pranzare
Quando l’ora fu pronta ci dirigemmo alla locanda, ma restammo schiacciate nel vicolo da una macchina che vi era quasi incastrata e si ostinava comunque a procedere. Il conducente ci faceva segni con le mani di toglierci dalla strada e gli lasciammo campo libero, trovando rifugio in un portone. La macchina arrivò davanti alla locanda con precisione millimetrica, si aprì uno sportello e ne scese un vegliardo che ci chiese se la locanda era quella e, al nostro assenso, vi si addentrò spedito. Al fine ci introducemmo anche noi e trovammo il luogo piacevolmente animato. Pasquale era sparito e un giovane ingrembialato ci scortò al tavolo.
Un emigrato tornato al paese natio
Ci eravamo appena sistemate, dopo la visita al bagno e l’ordine dell’acqua, quando il vicino di tavolo, di età probabile oltre gli ottanta, ci apostrofò addentrandosi in una conversazione articolata. Ci raccontò di essere un emigrato che, ormai in pensione, era rientrato al borgo natio, ma non riusciva più ad adattarsi alla vita del paese. Disse che stava facendo un giro in macchina, essendo una bella giornata estiva, e di essere in attesa di alcuni amici.
Chiacchiere tra i tavoli
Riconoscemmo in lui il conducente dell’auto e nell’amico il vegliardo sceso dalla macchina. La conversazione continuò con grande naturalezza sul suo paese, Palazzo San Gervasio e sulle vicissitudini della collezione di quadri della famiglia D’Errico, passata di mano in mano e ora scippata in parte da un Museo di Matera.
Un pranzo superbo e tanto affetto al momento dei saluti
Il ragazzo ci servì un superbo piatto di strascinati con i getti verdi e i fiori delle zucche, insaporiti con aglio e peperoncino, su cui l’oste Pasquale sparse personalmente generose cucchiaiate di pecorino prelevato da una zuppiera con cui si affaccendò al nostro tavolo. La vecchia con il treppiede animava il tavolo vicino con i suoi eleganti commensali. Ci guardammo intorno stupite. Il locale era pieno nonostante fosse un venerdì a pranzo di fine agosto. Chiudemmo con un caffè eccellente e ci avviammo per i saluti. Lì non si capì più niente. Baci e abbracci a destra e a manca, anche con chi non avevamo parlato.
Verso il castello di Monteserico
La ragazza uscì sconcertata dal locale raccontando alle altre donne che un vecchio sconosciuto aveva baciato sua madre. La madre ero io e in realtà avevo ricevuto un bacio da uno degli amici dell’emigrato, finalmente arrivati, che, nonostante l’età, anzi forse proprio per l’età, non avevano perso occasione di infilarsi nei saluti finali. Partimmo verso il castello di Monteserico, soddisfatte e rilassate, senza avere sciolto i dubbi sui palmenti, ma aperte a nuovi incontri.
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